BRESCIALIFE 42 Ed. PUBLIMAX LUNEDI 04 OTTOBRE 2010 di Paola Viani


"Posso parlare della vita di un ragazzo di paese che guarda al mondo"

“Devi tagliare le cipolle e mentre lo fai pensare alle cose che ti rendono triste, al tuo passato, agli amori che non ci sono più.

Ti fai un bel pianto e così passa.

Mangi quello che hai cucinato e ricominci da lì”.


Questo chiude la mia chiaccherata con Roberto Cavalli, fotografo quotato, classe 1971, lenese ma con opere esposte a New York.

Per un ragazzo di paese l’America è un sogno.

Mi ricordo la prima volta che ci sono andato: un’emozione fortissima.

Poi però scopri che anche da Leno partono tutte le strade per raggiungere il mondo”.

Cavalli è un filosofo.

Quando parla resti sconcertato.

Ha un’attenzione per i dettagli della vita che non ti aspetti, che ti sbattono il cervello da una parte all’altra, che ti muovono le cose mai metabolizzate e forse solo accantonate.

Ne esci un po’ “pesto” ma con la consapevolezza che i sogni si possono realizzare, che le passioni vanno assecondate, che non fa tutto schifo come sembra.

Ha una straordinaria visione positiva delle cose ma la sua è una scelta. Vede ciò che non va, ne ha una percezione reale, ma decide che il bello deve prevalere, deve muovere le scelte, deve governare.

“Potrei pensare all’affitto da pagare, che se non vendo le mie opere dovrò chiudere, ma poi in fondo credo che questo sia il mio punto di partenza, che sono libero di fare e di decidere per cui preferisco guardare il positivo”.

Il suo punto di partenza è “Contengospazio”, in Via Cattaneo, dove sono esposte le sue opere.

Vuole partire da qui, alla soglia dei 40 anni, per iniziare un percorso che in realtà è iniziato moltissimo tempo fa.

Perché per il momento Cavalli ha due vite. 

Quella di commesso a Leno nella ferramenta di famiglia e poi quella di fotografo-artista.


Come si conciliano le due cose?
“Quando decido che è arrivato il momento di fare l’artista magari non ho tempo, e se ho tempo alcune volte non ho l’ispirazione”.

Però le due cose convivono in un equilibrio meravigliosamente sicuro.


Le tue fotografie sono a New York
“Sì, da un gallerista. Non so come sia successo.

Lui ha visto il mio sito, gli sono piaciuti i miei lavori e mi ha contattato.

Gli ho spedito le fotografie dentro casse di legno costosissime, però a livello personale è stata una grande soddisfazione.

Adesso vediamo come va”.
Mi mostra l’autoritratto che gli abbiamo chiesto di fare per accompagnare l’intervista.

“Non mi ero mai fotografato prima.

L’ho fatto l’altro giorno perché era il compleanno di mia mamma ed ero elegante.

E’ un autoscatto”.

L’eleganza è un termine ed un concetto che Cavalli ama molto.

Le sue fotografie devono essere “Eleganti” e lui si sente come “quelle persone anziane con la testa lucida, saggi, eleganti”.


In che senso ti senti così?
“Mi sento gli acciacchi di un ottantenne, la virilità di un ventenne, e la testa di quei vecchietti che ti ho raccontato”.

Ride ma non dice mai nulla tanto per dire.

C’è un disegno in ogni sua frase, ed anche il parlare è spesso per immagini.


Come hai iniziato?
“Prima facevo sculture, con le cose che prendevo in ferramenta.

La mia era un’arte metallica.

Guarda che se tu riesci ad estraniare i pezzi, diventano oggetti affascinanti.

Mio nonno ferrava i cavalli e mio padre prima faceva il fabbro. Io sono una mutazione genetica.

Poi ad un certo punto la saldatrice ha smesso di saldare, non avevo più emozioni e mi chiedevo, ma cosa fanno gli artisti? Chi sono?

Una domenica di 10 o 11 anni fa vedo su un giornale una foto che mi piace.

A Torino c’è una retrospettiva di David Hockney.

Ho preso la macchina immediatamente e ci sono andato.

Da lì ho scoperto un mondo. Quando sono uscito ho iniziato a scattare come lui, tutto a rotazione.

Quando scopri qualcosa di nuovo ne resti affascinato anche se dopo devi pensare che sono cent’anni che la gente fa fotografie.

Volevo trovare il mio percorso, la mia originalità.

Ad un certo punto ho scoperto la tecnica dell’inversione e mi è piaciuta perché c’è una forte saturazione, i colori sono più carichi, più d’impatto.

Ho provato a percorrere questa strada e dopo un po’ sono stato pronto per un progetto”.

Ripete la parola progetto timidamente, come per farmi capire che non ha voglia di paroloni, ma che è la sostanza quella che conta.

Che lui resta il ragazzo di Leno. “Ho preso la Vespa e sono andato a Parigi. Ho registrato i rumori della città e fotografavo quello che mi piaceva.

Al mio ritorno alcuni musicisti hanno scritto le note sui rumori, io ho composto dei testi e ne è uscita una mostra particolare dove la fotografia comunque ha avuto la parte principale”.

“L’anno prossimo compio 40 anni e festeggerò i “20 anni di un artista qualunque”.

Magari da lì in poi faccio sul serio anche perché i viaggi nelle gambe un po’ li sento. La vita è strana e complicata e ognuno ha un percorso da fare.

A me è toccato quello lungo ma qui c’è la mia partenza. Inizierò a prendere le cose di petto e parto da qui, da questo spazio.

Sono single e dunque posso fare ciò che voglio.

Se devo stare sette ore a guardare una pozzanghera ci sto senza sentirmi in colpa.

Chiudo casa e vado, adesso non ho più nemmeno il cane.

Cercavo quella parte di vita che ti dà le soddisfazioni e mi sono aggrappato al mondo dell’arte.

Non so se è l’alternativa alla ferramenta però dovrebbero fare una legge che ti obbliga a cambiare lavoro ogni dieci anni, così scopri più cose di te”.

Ad un certo punto mi dice “Succede, è successo e succederà ancora” riferito ai dolori della vita.

Sto guardando un’immagine in cui la stessa donna è ripetuta più volte mentre attraversa la strada.

“Vedi, adesso è stato un caso ma nelle mie fotografie c’è il passato, il presente e il futuro.

Nella vita normale non abbiamo tempo di guardare i particolari, ci perdiamo un sacco di cose ed  il passato ormai è andato.

Faccio l’artista perché così sto attento a quello che mi circonda, non voglio perdere nulla”.

La vita, la vita. “Non sono colto, non ho una laurea, leggo poco perché ho poco tempo ma credo di poter parlare della vita perché quella l’ho anch’io”.


Stratosferico.


Il pezzo finisce qui.

E’ la prima volta che mi capita di dover tagliare gli appunti.

Potrei scrivere per altre sei pagine.

Non ho raccontato le fotografie, non lo so fare.

So solo che mi hanno emozionato e che vanno scrutate attentamente perché contengono un’infinità di sorprese.

Come la vita.